"Alcune domande" a cura di Monica Bottero

Cristina Saimandi, una donna forte, un’artista. Quali sono state le esperienze chiave che hanno forgiato la tua personalità artistica?

Le esperienze più pregnanti, le prime in assoluto per la mia formazione artistica, risalgono ai miei diciassette anni. Frequentando il liceo artistico, ebbi la fortuna di incontrare dei docenti di materie artistiche che mi aiutarono ad ampliare le mie vedute. Prima d’allora l’arte, attività secondo me manuale, non aveva mai assunto il significato di processo anche concettuale.

Ero andata all'artistico per migliorare nel disegno, me la cavavo già bene... ma intorno alla terza liceo, grazie proprio a quei prof, percepii l'arte moderna e contemporanea in un modo nuovo, visceralmente coinvolgente, inseparabile dall'esistenza quotidiana.

Anche negli anni post accademia, quando l'esperienza della nuova scuola aveva gettato dubbi e frustrazioni in quella direzione, togliendomi l'entusiasmo della pratica, in fondo non smisi mai di sentirmi “artista” nel profondo dell'anima.

Ricordo, inoltre, l'incontro al liceo con l'artista Marco Gastini, che mi aprì gli occhi sulle possibilità di contaminazione tra pittura e scultura, vivendo il supporto pittorico come possibilità di sviluppo di concrezioni materiche.

Sempre in quegli anni, sentii raccontarmi, in modo decisamente indelebile, il pensiero dell'artista – sciamano Joseph Beyus, delle sue azioni performative… della sua “terza via”, alternativa a comunismo e capitalismo... una via creativa che recitava: LA RIVOLUZIONE SIAMO NOI.

Beh, successivamente, un po' per la mia esperienza confusa e negativa all'accademia di belle arti, un po' per una forma di eccessivo rigore intellettuale, passarono in realtà moltissimi anni prima di avvallare le mie espressioni e le mie sperimentazioni artistiche e di considerarle accettabili e perseguibili.


Sei anche violinista. Cosa rappresenta l’arte per te?

L'arte per me è un cammino spirituale. E in questa direzione molto è stato detto e molto è stato fatto.
La spiritualità cui faccio riferimento io, non sta però nella ricerca di poetiche e contenuti sull'argomento o di una pratica di ritualità sacra. Credo che, a prescindere dal tipo di ricerca di ciascun percorso creativo, l'artista giunga a cogliere, sentire, attraversare, momenti particolari, che esulano dalla mera esperienza materiale quotidiana, in grado di implodere nel proprio mondo interiore, di far vibrare le corde dell'anima, in qualsiasi modo ognuno di noi la pensi.

Musica ed arte, vibrazione e materia mi permettono di oscillare tra due poli di esistenza. Adoro la fisicità della materia che tocco e plasmo nelle sculture e mi lascio attraversare dalle vibrazioni che il violino trasmette direttamente al mio corpo. Sono molto distante dal concetto di purificazione cristiano, la cui via passa attraverso l' “umiliazione” della carne. La terra è bella, profonda e necessaria, l'aere che ci circonda pure... il più e il meno delle batterie della mia esistenza...


Donna, madre, insegnante, artista, sportiva. Le tante identità di Cristina Saimandi che plasmano le tue creazioni. Il tuo occhio e la tua mano mi sembrano sempre molto centrati sulla donna. Spesso, se non sempre, non si tratta della tipica bellezza femminile, piuttosto della donna deformata dalle esperienze di vita. Mi sembri attratta dal corpo femminile, un corpo che ha patito (nel senso greco del pathos) e ne porta i segni sul corpo. Mi puoi descrivere il tuo processo creativo interiore.

E’ vero. Ormai da anni prediligo la rappresentazione della figura femminile nata da riflessioni o, meglio, da successivi affioramenti emotivi sul tema.

Credo che tutto nasca da molto distante, dai miei ricordi di bambina, testarda e ribelle nei confronti del “cliché” della bimba modello. Molti amici mi apostrofavano bonariamente “maschiaccio” ed in seguito “femminista”. E un po' di ragione ce l'avevano pure!
Perché il sesso doveva essere una discriminante, a partire dalla scuola, per poter accedere a determinate attività? Perché le cose per me più divertenti erano ad esclusivo appannaggio dei maschi? (Veramente avendo tre fratelli maschi non mi feci mai mancare nulla, giocando con i loro soldatini, usando pistole, archi e frecce contro tutti i malvagi della terra, sfidando i compagni di strada in eterne partite di calcio ed altri mille giochi, che resero accesa la mia infanzia).

Ma, soprattutto, sin da piccola, cullavo grandi sogni di libertà. Nelle mie suggestioni di bambina ne immaginavo il raggiungimento attraverso lunghi spostamenti senza meta, a cavallo e accompagnata da un leone e un cane. Come potevo realizzare questo sogno con vestitini e fiocchetti?
E' chiaro che l'essere donna diventi poi qualcosa di più complesso...
Come hai scritto giustamente, il mio essere si è arricchito nel tempo di molte sfaccettature, a nessuna delle quali riesco neppure oggi a rinunciare. E a volte mi sento sola, ancora imbrigliata nel medesimo cliché, che tanto mi faceva incazzare da giovane. Spesso sento che per una donna sia più difficile, sia per la sua indole di “soccorritrice”, sia per comodità dell'uomo, puntare dritto verso i propri sogni. Senza contare poi, che qualunque sia la professione e la bravura di una donna, rimane oggi ancora centrale l'aspetto fisico da cui la donna stessa non riesce del tutto ad affrancarsi e su cui fa per altro leva un saldo impero consumistico.
In fondo, dunque, nelle mie figure vi è sempre un pezzo di racconto intimistico ed autobiografico. Il mio sforzo a ricercare in questa direzione scaturisce più da un moto interiore che da un aspetto esteriore, dove quest'ultimo sia comunque più adatto e funzionale ad un riavvicinamento alla natura e dove centrale diventa la capacità di sublimazione del dolore (ineluttabile per la donna a partire dal suo primo ciclo mestruale e continuando nel suo ruolo naturale di procreatrice).

Insomma una donna che si rimetta a nudo e alla ricerca di se stessa, in continua relazione – attrazione con il suo opposto polo uomo, senza rivalità, sottomissioni, ricatti sottesi per entrambi.
In questa direzione, mi sono particolarmente care le sculture a tema “Leda”, dove le sculture nascono da un'interpretazione assolutamente personale, sino a diventarne in qualche modo racconto autobiografico, del mito.
Vi è un uso simbolico del colore rosso – sangue e amore – che è concentrato nei due nodi focali della testa e dei piedi attraverso la vestizione di un casco e di sandali infradito; essi staccano dalla neutralità del resto del corpo, la cui pelle pare quasi sfaldarsi.
La Leda contemporanea, figlia e moglie di ogni signore della guerra, ingannata da ogni aspirante dio sotto mentite spoglie, come un poeta di guerra, sublima la paura e la sofferenza attraverso parole sospese. Parole forti che impastano la bocca, ma che implodono in versi latenti, mai detti e raccolti dentro sé.
Il casco, generatore di silenzio, dona la capacità di riplasmarsi, attraversando la cruda realtà esterna (mondo – guerra – inganno - solitudine) ed il proprio mondo interiore.


Oltre al corpo della donna, altro tema ricorrente delle tue opere sono i giovani. Anche qui sullo sfondo della tua compassione, tornando al discorso di prima, la tua sim-patia, i tratti dei giovani che rappresenti trasudano dolore, sofferenza, paura. Perché parti sempre dal lato più duro delle esperienze umane? E’ la tua esperienza con i ragazzi che incontri a scuola? E’ la tua visione del mondo? C’è riscatto secondo te? Non mi sembri una persona negativa, tutt’altro. Spiegami.

Ho filtrato ieri l'intruglio necessario per il liquore alle noci. Dal verde del mallo della noce e dalla trasparenza dell'alcool si è generato un ammasso scuro e brumoso, poco piacevole alla vista. Arrivare sino al termine, il filtraggio, richiede tempo ma, ciò che resta, diventa piacere per le nostre papille.
Così è la vita: preferisco non chiudere gli occhi al dolore, alla sofferenza, alla paura. Fanno parte dei poli dell'esistenza. Oggi viviamo in un momento di pesante sbilanciamento dove da un lato scelte troppo facili ed egoistiche e dall'altro l'occultamento, ad opera della nostra società ovattata e confettata del concetto della morte stessa, ha sbilanciato di gran lunga l'equilibrio delle nostre esistenze umane e degli spazi di esistenza. Voglio dire: velare e ovattare ciò che non vorremmo guardare in faccia, non solo non lo elimina, al contrario genera ribollenti e scuri mari sotterranei, che prima o poi troveranno varchi disastrosi.

Mescolare e filtrare l'esistenza è salutare e aiuta a rendere elastica la mente sul concetto di bene e male.
La mia rappresentazione degli adolescenti, è vero, trasuda dolore, sofferenza, paura e questo perché così è questo periodo della vita, momento in cui ti rendi conto di dover lasciar andare l' infanzia, dove tutto è eterno e infinito, per affacciarti al dubbio e allo scavo dell’età matura. Se i miei giovani tuttavia hanno dipinti occhi e mani scuri e brumosi e sono immersi nel nulla, è perché ritengo che negli ultimi vent'anni almeno, il mondo che presentiamo ai nostri adolescenti sia progressivamente peggiorato, spogliato di valori, riempito di falsi bisogni e cioè equivalente al nulla. Nonostante ciò, ciò che mi piace dei giovani è la loro capacità di adattamento e di ribellione insieme, e checché se ne dica, la loro voglia di vivere con il giusto leggero - spessore d'esistenza.
Io spero che ci si riscatti da questo contemporaneo che ogni giorno pare mostrare aspetti più aberranti.
Per quel che mi riguarda, amo terribilmente la vita e temo terribilmente la morte. Per questo cerco di ricordarmi di respirare pieno, il più possibile. E' il mio riscatto.


Cosa insegni a scuola e cosa reputi importante trasmettere ai tuoi ragazzi della tua conoscenza di artista, e donna, e madre e appassionata della vita?

Ho la fortuna di insegnare una materia artistica, legata allo studio materico e alla scultura. E ciò mantiene un filo diretto con la mia personale ricerca artistica.
Sono convinta che non si possa insegnare l'arte e che arrivare alla manifestazione di un proprio fare, sia percorso duro, intimistico e solitario e, credo, non per tutti.
Certamente, però, si può conoscere, sperimentare, riflettere, scandagliare... e in questa direzione, ovvio che mi competa il compito di guida. Cerco sempre di stratificare bagaglio tecnico e rielaborazione personale, tradizione e innovazione.

Molte volte soffro nel vedere allievi dotati, ma chiusi nella loro piccola e ristretta visione del fare artistico, restii a guardarsi intorno a 360°. In realtà il processo artistico va ben oltre il bel disegno o la belle scultura e non può esserci senza un travaso dell'arte nelle propria vita quotidiana e viceversa... Insomma, come Piero Gilardi intitolò un proprio libro, “Dall'arte alla vita, dalla vita all'arte” (1981).
Debbo dire che il contatto con i giovani, con i loro macigni e le loro leggerezze, rimane per me un grande stimolo e mi rinnova, anche quando mi ritrovo con classi di trenta allievi con “gli ormoni a palla”, passione ed entusiasmo.
Una domanda che reputo molto importante per chi ha a che fare con giovani vite che si stanno formando. La scuola mi sembra ormai volta più ai contenuti e a dar più valore ad essi che al “contenitore”, cioè all’uomo, alla donna e ai suoi valori. Valori universali che immaginavamo ormai parte del nostro bagaglio culturale storico, calpestati dall’individualismo e dalla competitività. Cosa ne pensi? E qui mi aggancio anche alle tue opere sui condannati a morte.
Mi sembra una direzione della contemporaneità, come hai già detto molto bene tu, più interessata alla competitività, guidata da una necessità economica, che ha generato questo insano individualismo che, per altro, finisce per calpestare diritti e valori da sempre considerati universali.
La scuola da molti anni ha incrementato numero di materie, attività, progetti, monitoraggi e altro ancora, laddove a tanto che viene dispensato, non vi è una corrispondenza per quella ricerca , per dirla alla Kandinskji, della necessità interiore. Credo però che nella scuola esistano diverse bolle in controtendenza, dove grazie allo sforzo del singolo insegnante, vi è da sempre un lavoro volto ad una formazione profonda, dove la cultura diventa momento di fortificazione.
Per quel che riguarda l'installazione sulla pena di morte, essa rappresentauno di quei lavori che nasce come spinta irruente da fuori a dentro (solitamente per me è l’esatto contrario).
Una mattina, aprendo il giornale, lessi che in Cina le condanne a morte vengono ormai eseguite a “domicilio”, con un “furgone della morte” itinerante, in quanto più economico.
Ti fa incazzare e insieme soffrire; per un momento inorridisci davanti ai popoli barbari e incivili di questa terre , ma ben sai che anche tra le “vere democrazie” si puniscono barbarie con barbarie.
E poi sempre mi tormenta il fatto che, per esempio negli Stati Uniti, i condannati possano trascorrere molto tempo, anche anni, nel braccio della morte... li chiamano i morti che camminano (Dead Men Walking).
L'idea dunque, era quella di ricordare i circa cinquemila giustiziati ufficialmente ogni anno con altrettanti volti ideali, inventati, spesso evanescenti tranne negli occhi, che rimangono sempre vivi, finestra sul mondo e specchio dell'anima.
Ma non sono riuscita. Mi sono fermata molto prima.


Passiamo al processo creativo esteriore. Quando ti trasformi nel demiurgo. Quali sono i tuoi tuoi strumenti di lavoro? So che usi tecniche e materiali diversi. Per esempio niente acquarello. Matita, pennarello, fondi di caffè per i disegni, dipinti. Creta, carta, gesso e altro ancora per le tue sculture. Raccontami la tua scelta e scoperta di questi materiali e del perché rendono meglio le tue emozioni.

Sì, sia nella pittura sia nella scultura continuo ad amare la sperimentazione, provando lo stesso entusiasmo di sempre.
I miei primi lavori erano astratti, basati su concrezioni materiche di superficie, utilizzando materiali diversi che diventavano essi stessi protagonisti. Poi ho sentito la necessità di una narrazione per immagini di tipo evocativo, attraverso un'arte più figurativa, ma senza mai abbandonare il mio amore per i materiali, che diventano protagonisti piuttosto che strumenti di rappresentazione.
A volte un particolare utilizzo di un materiale porta con sé una buona dose di casualità, dettata da un qualche errore di percorso, da un processo il cui risultato devia rispetto alle mie aspettative oppure da una mia particolare attenzione nella quotidianità, a macchie, crepe ecc.
Ripeto, la materia mi attira e mi attirano i suoi depositi e le sue stratificazioni e modificazioni nel tempo. E' anche la curiosità che mi porta ad affrontare nuove situazioni, anche quando il mio lato più razionale, si agita enormemente per tenermi aderente a tecniche e processi già utilizzati e quindi più sicuri.
Come appare chiaro nei miei lavori, comunque, la tecnica e i materiali sono sempre scelti per rafforzare l'impatto emotivo tra la sottoscritta, l'opera ed il fruitore.


La tua ultima opera, una donna nuovamente. Realizzata con materiali speciali e successivamente svuotata con tecnica altrettanto particolare. Un po’ macabra per i miei gusti, che mi fa pensare ad episodi recenti di cronaca, di violenza sulle donne. E’ da qui che sei partita o avevi tutt’altro in mente? Forse volevi creare il vuoto apposta perché per te questa sua vuotezza ha tutt’altro significato. Racchiude forse tutto il tuo mondo delle idee. Raccontami. La vita è fatta di storie.

E’ proprio così. Non ho pensato però agli ultimi tristi fatti di cronaca e non è nel mio pensiero trasmettere l'idea di mutilazioni e di corpi martoriati.
Vediamo... Cerchiamo di partire da capo e di esternare, razionalizzato in parole, questo mio lavoro ancora così “fresco” anzi, per la verità, ancora in corso di formazione.
Ho creato una nuova pelle (in resina) ad una mia scultura di donna, modellata precedentemente con carta e nastro adesivo. L’ultimo strato superficiale in resina non è completo… è una pelle ancora da farsi nella sua interezza, così bruciando il vecchio corpo, la figura risulta svuotata e in parte da ricucirsi.
E' una nuova possibilità, diciamo la possibilità di una rinascita. L'idea è che la scultura diventi parte di un'installazione e che dal suo interno fuoriesca un assordante frinire di grilli e che lo stesso frinire, meno assordante , sia l'audio di un video che riproduca le immagini di un bosco che ho attraversato in auto recentemente, dove, nonostante un ambiente il giusto “addomesticato”, i grilli la facevano da padroni. Un esempio insomma di giusto equilibrio raggiunto tra uomo e natura.
Il lavoro, come spesso accade nelle mie opere, attorciglia quindi sociale e personale. Certo, ancora una volta la sofferenza non è assente. Come proprio oggi ti ho detto nella nostra breve chiacchierata per telefono, ci si svuota sempre con fatica e sofferenza, ma non può esserci altra via per il cambiamento. E che lo si voglia o meno, si è costretti al cambiamento. E solo poi ci si accorge di poter nuovamente assorbire energie esterne ed interne, rinascere nella propria nuova pelle.
In questo momento io sono così. Stanno bruciando le ultime ceneri, ma la pelle non è ancora del tutto rimarginata.
Soprattutto in questi ultimi tempi inoltre, mi è difficile separare il personale dal sociale, nel senso che mai come ora vivo col mio io profondamente influenzato dai fatti contemporanei... con questa cellula uomo, deviata oltre il mio sopportabile, che tira in modo irreparabile il già sottile filo natura - cultura, con laceranti aberrazioni dell'una e dell'altra e dove non scorgo, tra coloro che detengono il potere, la necessità per me urgente, della formazione di una nuova pelle.