Cristina Saimandi di Enrico Perotto

Il senso dell’arte in Cristina Saimandi è quello di dare immagine a esperienze vissute di vita femminile, svelandone le condizioni esistenziali tanto di aspirazione all’incanto del bello che ispira i tremori adolescenziali quanto di caduta nell’abisso del dolore che sconfigge, che riduce tutti in involucri vuoti di terra screpolata.

è
straniera e affamata questa bellezza

che
assalele intercapedini
dell’anima

nella
pelle che mostra parole

una ad
una

come
radici perpendicolari

al
silenzio

A. Taravella, La cromatica carne, s.l., Libro Aperto Edizioni, 2013, p. 8.

Ecco le figure di bambini in aspetto sofferente, raffigurati isolati o in gruppi numerosi, dai volti attraversati da profonde occhiaie e dai corpi scarnificati, ricoperti da inquietanti magliette a strisce o monocrome, che si confondono con la texture del supporto di cartone da imballaggio. Ecco i corpi smagriti di ragazzi dall’aspetto poco rassicurante di detenuti forzati nel corpo e nella mente (come di destinati ad una fine patibolare), vestiti solo di candide canottiere.

Si stagliano sul fondo di cartone dipinto di colore bianco e si lasciano osservare attraverso un ideale schermo trasparente, intervallato da una serie di vari ritagli rettangolari ricavati nel supporto e distribuiti sul piano immaginario con diverse inclinazioni. Ed ecco, poi, le forme smunte delle Didi, sculture di nudi trasfigurati di donne (un vero e proprio leitmotiv caratteristico dell’attività artistica riconosciuta di Cristina), che hanno occhi grandi, svuotati e velati di mestizia, con alle orecchie vistosi orecchini ad anello, segno preciso di un brivido rimasto di vanità femminile.

Siamo in presenza di toccanti configurazioni all’apparenza distorte di ragazze smagrite in canotta bianca, di umanoidi muliebri colti perlopiù in posizione eretta o distesi supini, seduti o accovacciati a terra, che svelano soprusi, violenze o sopraffazioni indicibili, tali da stravolgerli nei loro aspetti esteriori, ma senza che ne venga in alcun modo intaccata l’impronta della loro grazia originaria, come se in loro non mancasse la speranza in un ideale possibile riscatto dell’altro, del diverso, del più debole, dell’indifeso, della persona umana a cui è stata soffocata la naturale vocazione alla bellezza.

Enrico Perotto

Giugno 3013

Per la mostra “CONVERGENZE” Santa Maria del Monastero,Manta

cristina saimandi perotto

cristina saimandi perotto 2

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