Concrezioni biomorfe di Paolo Thea Cristina Saimandi spesso ripete una frase di Luis Borges perché isolandola dal suo contesto salvifico vi trova una tensione comune al suo lavoro: “La morte è vita vissuta, la vita è morte che viene, la vita non è altra cosa che morte che fa sfoggio di sé." Le operazioni condotte nel corso degli anni e quindi anche quanto esposto in questa occasione, vertono sull’opposizione tra ciò che una cosa è e ciò che questa diviene sotto l’influsso del tempo o di agenti atti a produrre una trasformazione sostanziale seppure per certi versi provvisoria. Di conseguenza, attraverso una desiderata “perdita di progettualità” anche a causa dll’apparente svanire dell’apporto soggettivo, l’esito finale conformemente alle intenzioni si presenta spoglio ed impersonale. Da questo moto perpetuo incessante e incontrollabile originato da una lenta accumulazione e sedimentazione scaturisce un impasto dall’aspetto plumbeo o una superficie vissuta come un muro consunto. Su queste basi hanno agito la pioggia e il vento alterandole, consumandole e sporcandole, in definitiva attribuendoli una memoria. Gli elementi di partenza sono dei recipienti di terracotta o metallo, supporti di lamiera e di legno, tele grezze su cui vengono applicati colori, scritte, concrezioni materiche. In particolare nel lavoro intitolato Viaggi del 1998 il gesso, la colla, i gusci di cozze formano un conglomerato “naturale”. Altre volte vernice, catrame, stucco e resina costituiscono i mezzi attraverso cui un oggetto grazie a movimento ed attrito cambia staro passando da solido a liquido o viceversa, oppure lascia una traccia puramente bidimensionale espressione di una presenza passata. L’apporto dell’artista consiste nell’osservare e favorire questo gioco estraneo alla tradizione culturale per giungere consapevolmente al superamento di angusti confini. Milano, 7 maggio 2000